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OT. Lucrezio. De rerum natura. Inno a Venere

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Messaggio Da tessa Lun Lug 14, 2014 7:11 pm

OT.
In questo periodo, in cui venti di guerra agitano il pianeta , è opportuno ricordare alcuni versi dell'Inno a Venere.
 Marte sta riposando sul grembo di Venere, e il poeta scrive :

Hunc tu, diva,.....suavis ex ore loquellas funde, petens placidam Romanis, incluta, pacem.

Traduzione

"Dea...versagli dalla tua bocca
dolci parole, implorando, inclita, per i romani
una pacifica tregua..."

Pacifica tregua imploriamo anche noi dalla Dea per il nostro mondo in rivolta.

La Dea di Lucrezio è la "orbis totius alma Venus".

Di Lucrezio daro' due soli commenti perchè troppo nota e conosciuta è la sua opera.

Dice Ovidio:" I carmi del sublime Lucrezio moriranno soltando quando un sol giorno segnerà la fine del mondo.

Benedetto Croce scrive:" C'e' in lui il didascalico, senza dubbio, ma c'è dell'altro e di piu' rilevante: il passionale, e piu' propriamente il passionale -religioso, e attraverso questo un'anima dolorosa, e forse disperatamente amorosa e disgustata e amara, e pur pietosa, che cerca il placamento nella fede, in una dottrina di redenzione e in un redentore, Epicuro...
La descrizione che fa Lucrezio dell'insaziabilità di amore non è da semplice psicologo e naturalista, ma è la parola di uno che soffre o ha sofferto di quella passione. E c'è il poeta che accompagna questo pathos e che tutto assurge .

INNO A VENERE

Metrica: esametri dattilici catalettici


 Aeneadum genetrix, hominum divomque, voluptas,
almas Venus, caeli subter labentia signa
quae mare navigerum, quae terras frugiferentis
concelebras, per te quoniam genus omne animantum
concipitur, visitque exortum lumina solis,
 te, Dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus
summittit flores, tibi rident aequora ponti,
placatumque nitet diffuso lumine caelum.
Nam simul ac species patefactast verna diei,
et reserata viget genitabilis aura favoni,
aeriae primum volucres te, diva, tuumque
significant initum perculsae corda tua vi.
Inde ferae, pecudes persultant pabula laeta,
et rapidos tranant amnis: ita capta lepore
te sequitur cupide quo quamque inducere pergis.
Denique per maria ac montis fluviosque rapacis,
frondiferasque domos avium camposque virentis,
omnibus incutiens blandum per pectora amorem,
efficis ut cupide generatim saecla propagent.
Quae quoniam rerum naturam sola gubernas,
nec sine te quicquam dias in luminis oras
exoritur, neque fit laetum neque amabile quicquam,
te sociam studeo scrbendis versibus esse
quos ego de rerum natura pangere conor
Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni
omnibus ornatum voluisti excellere rebus.
Quo magis aeternum da dictis, diva,leporem.
Effice ut interea fera moenera militiai
per maria ac terras omnis sopita quiescant.
Nam tu sola potes tranquilla pace iuvare
mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors
armipotens regit, in gremium qui saepe  tuum se
reicit, aeterno devictus volnere amoris,
atque ita suspiciens tereti cervice reposta
pascit amore avidos inhians in te, dea, visus,
eque tuo pendet resupini spiritus ore.
Hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto
circumfusa super, suavis ex ore loquellas
funde, petens placidam Romanis, incluta, pacem.
Nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo
possumus aequo animo, nec Memmi clara propago
talibus in rebus communi desse saluti.

       TRDUZIONE

O madre, tu, degli Eneadi, o Venere alma, delizia,
degli uomini e degli dei, tu che vivifichi sotto
gli astri scorrenti del cielo il mare che porta le navi,
le terre che danno le messi: si genera ogni famiglia
per te degli esseri, e nata vede la luce del giorno,
giungi, e te fuggono i venti, o dea, ti fuggono le nuvole,
a te produce i soavi fiori la terra ubertosa,
sorride a te la distesa del mare, e brilla di un largo
chiarore il cielo tranquillo: e non appena la bella
stagione di primavera si apre, e ridestosi l'alito
fecondatore di zefiro si avviva, prima gli uccelli
dell'aria, tocchi nel cuore dal tuo potere, t'annunziano,
annunziano il tuo ritorno, o diva; quindi le greggi
indome saltan pei lieti pascoli e guadano i rapidi
fiumi; cosi', soggiogato dalla tua grazia, bramo-
samente ciascuno ti segue dove ti piaccia condurlo:
e per i mari e i monti e le rapaci fiumane e
le verdeggianti campagne e degli uccelli per entro
le frondeggianti dimore, nel cuore a tutti infondendo
la voluttà carezzevole, fai che ogni specie propaghi
bramosamente la vita: perchè tu sola governi
il cosmo, e senza di te cosa non vì è che si affacci
alle celesti riviere del giorno, e nulla di lieto,
nulla sussiste d'amabile, ispiratrice ti invoco
ai versi che per il nostro Memmio mi accingo a comporre
sulla natura. Hai voluto tu stessa, o dea, che adornato
 di tutti i pregi eccellesse in tutti i campi: soffondi
tanto piu', dunque, tu, d'una soavità non caduca
le mie parole, e per mare, per terra fa che sopiti
tacciano intanto i feroci studi dell'armi. Allietare
tu sola puoi  d'una placida pace i mortali. Governa
l'aspre fatiche di guerra Marte possente nell'armi:
e, vinto dall'insanabile piaga d'amore, egli spesso
ti si abbandona nel grembo, e in su, cosi', riguardando,
riverso il collo tornito, in te d'amore, anelante,
pasce gli occhi avidi e pende tutta di lui resupino
l'anima dalle tue labbra. Stringiti a lui, mentre giace,
dea, con l'intatto tuo corpo, versagli dalla tua bocca
dolci parole, implorando, inclita, per i romani
una pacifica tregua: che, con la patria turbata,
ne' noi con cuore tranquillo potremmo attendere all'opera,
nè, per seguir tali cose, l'illustre germe di Memmio
negar potrebbe sè stesso alla salvezza di tutti.

FINE

CONTINUA
tessa
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