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Difesa europea: sessant'anni di ritardo

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Difesa europea: sessant'anni di ritardo Empty Difesa europea: sessant'anni di ritardo

Messaggio Da Erasmus Dom Ago 31, 2014 10:44 pm

Il 30 agosto 1954 l'Assemblée (cioè il Parlamento Francese) rinviava "sine die" il dibattito per l'approvazione o la bocciatura della CED. Ossia: in pratica, seppur indirettamente, silurava ed affondava il progetto della "Comunità Europea di Difesa" che era nato proprio in Francia (e allora passava sotto il nome di "Piano Pleven") per iniziativa ... sotterranea di Jean Monnet (consigliere occulto prima di Robert Schuman e poi di René Pleven).

Più sotto segnalo un magistrale articoletto di uno che giornalista non è ma ha una conoscenza ed una competenza in materia di integrazione europea davvero superlative.

Ma prima vorrei ricordare un paio di cose che non figurano in quell'articoletto (dove si dice espressamente: «Inutile percorrere qui le ragioni del "no" francese»).
a) Nel 1954 la Francia era ancora una "potenza coloniale", ma in progressivo ed inesorabile declino come tale. Dopo soli 4 anni arriverà il "gollismo" ed il drastico cambio dalla IVª alla Vª Repubblica.
In particolare, nella primavera del 1954 (sotto il breve secondo governo di Joseph Laniel), la Francia non riesce a sconfiggere i "Viet Minh ", guerriglieri comunisti nel Vietnam (allora colonia francese nota in Europa come "Indocina Francese") (*). Il disastro di Dien_Bien_Phu (7 maggio 1954), con il successivo precipitoso abbandono dell'Indocina Francese, finisce col travolgere il governo di cui il ministro della difesa è proprio Pleven.
La sconfitta in Indocina risolleva l'orgoglio nazionalista. Si innesta in questo contesto la crescente paura della rinascita d'un esercito tedesco (che gli USA invece sollecitano in funzione anti-sovietica).  Al dimissionario governo Laniel succede l'effimero governo di Mendès France che non appoggia affatto il piano Pleven. E' sotto questo governo che avviene la storica "caduta della CED".
(*)I Viet Minh erano guidati dallo stesso Ho Chi Minh che dieci anni dopo guidò i Viet Cong nella guerriglia contro l'effimero "Vietnam del Sud" e i suoi alleati USA (guerriglia conclusasi nel 1975 con la sconfitta americana e l'unificazione del Vietnam).
b) Il "rinvio sine die" del dibattito sulla CED (che avrebbe preceduto la ratifica del trattato o la sua bocciatura) è stato votato in Assemblée sia da sinistra (cioè dai Comunisti del PCF, fedelissimi a Mosca) che da destra (cioè dai Gaullisti, nostalgici della "grandeur" della Francia della III repubblica). Assieme avevano la maggioranza assoluta all'Assemblée. Si è trattato dunque di un vero "pactum scveleris" nel quale è consueto il verificarsi della "coincidentia oppositorum". [Mai e poi mai comunisti e gaullisti, mutuamente irriducibili avversari, avrebbero potuto allearsi a sostegno  di quasiasi governo! Ma  ogni volta che si è trattato di sbarrare la prospettiva di un qualche avanzamento (seppur piccolissimo)vdell'integrazione europea eccoli diventare alleati, eccoli sparare su di essa a fuoco incrociato  in perfetto accordo.  E da opposte sponde trovare motivazioni comuni!  [In quella fattispecie lo sbandierare il pericolo della rinascita di un esercito tedesco].
In tutta Europa i Comunisti festeggiarono la caduta della CED – da loro presentata come una specie di succursale della NATO in funzione antisovietica – come una loro vittoria contro l'imperialismo yankee (mentre, al contrario, solo un esercito integrato europeo avrebbe potuto creare le condizioni per fra sloggiare dall'Europa le basi militari americane).
Invece, proprio la caduta della CED creò le condizioni per la rinascita dell'esercito tedesco: e questa volta vero "esercito nazionale", [mentre nella CED le forze armate tedesche sarebbero state una componente al pari di quelle francesi d'un unico esercito europeo]. Infatti, nel giro di 40 giorni i 6 paesi della CECA aderirono (con la Gran Bretagna) al Trattato UEO (Unione Europa Occidentale, una fulminea invenzione ad hoc del governo britannicoche, al di là del reboante nome, non era altro che un programma di ricostituzione dell'esercito tedesco, però tenuta sotto controllo (in pratica da Gran Bretagna e Francia) in modo da escludere quanto era accaduto negli anni '30 con l'avvento al potere di Hitler. 
[Preoccupazione inutile, fuori della Storia! Strumentale forzatura britannica, tendente a mantenere il controllo inglese sul continente europeo].
Da una parte, per esplicità volontà degli USA, dopo qualche anno l'esercito tedesco membro della NATO sarebbe stato in grado – però solo col consenso degli USA –  di portare per via aerea bombe atomiche sull'URSS. D'altra parte, impossibile de facto un'aggressione militare tedesca ad altri paesi della CECA [di cui la Francia e la Germania erano le componenti non solo principali ma  ... necessarie secondo la storica "dichiarazione Schuman" di riconciliazione definitiva franco-tedesca che avrebbe posto fine alla pluricentenaria rivalità].
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Ecco l'articoletto dal quale viene il titolo di questo thread.
[E' tratto dalla "rivista" dei giovani federalisti europei italiani e francesi che si chiama "Le Taurillon" nell'edizione in lingua francese e "Eurobull" in quella in lingua italiana.]
–->Difesa europea: sessant'anni di ritardo
di Flavio Brugnoli
(direttore del "Centro studi sul Federalismo") 
Il centenario della Prima Guerra Mondiale, iniziata nel 1914, ha ricevuto grande attenzione, non solo da parte degli storici. Tanto facili quanto forzati i parallelismi con la situazione attuale, che vede il moltiplicarsi di crisi e veri e propri conflitti, anche sul territorio europeo. Ma c’è un altro anniversario che merita di essere ricordato, meno luttuoso ma non meno amaro per il continente europeo: sessant’anni fa, il 30 agosto 1954, l’Assemblée Nationale francese decideva di non ratificare il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED).

Nata su iniziativa del governo francese del primo ministro René Pleven, ispirato da Jean Monnet, la CED mirava anzitutto a imbrigliare in un quadro europeo le ipotesi di riarmo della Germania, sostenuto dagli Stati Uniti di fronte alla minaccia sovietica. Ma, grazie soprattutto all’azione lungimirante dell’Italia, sotto la guida del primo ministro De Gasperi e con l’influenza decisiva di Altiero Spinelli, la CED divenne a tutti gli effetti un progetto per un esercito unificato europeo inserito in una Comunità Politica Europea – che avrebbe assorbito le competenze della CED e della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, nata nel 1951.

Inutile ripercorrere qui le ragioni del “no” francese di allora. Nel contempo, difficile non vedere le conseguenze devastanti di quella scelta miope e nazionalista. Una ritrosia, da parte della Francia, a ipotizzare una evoluzione federale del processo d’integrazione europea che ritroveremo in altri snodi critici della nostra storia comune successiva. Ma oggi l’Unione europea – o quantomeno i suoi membri che più hanno puntato sul processo di unificazione (a partire da quelli che condividono una moneta unica) – è chiamata sia a uno sguardo franco sullo stato della propria politica estera e di difesa sia a decisioni coraggiose.

È un fatto che la sicurezza del continente europeo sia stata garantita, durante la guerra fredda, dall’ombrello americano, attraverso la NATO. Con la fine del confronto bipolare, dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Europa ha dato cattiva prova di sé sia con la propria irrisolutezza al tempo del collasso e delle guerre dell’ex-Jugoslavia sia nel dopo 11 settembre 2001, con le divisioni sulla guerra in Iraq e sulla “guerra al terrore”. Il progressivo disimpegno americano dall’Europa, con gli Stati Uniti sempre più orientati verso l’area del Pacifico, impone ora agli europei nuove e impegnative assunzioni di responsabilità.

Non si parte da zero. La Politica Europea di Sicurezza Comune (PESC), introdotta nel 1992, di cui “costituisce parte integrante” – come recita il Trattato di Lisbona – la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC), è talvolta caricaturata come debole e velleitaria. Si disconoscono così i molti meriti di quel “comprehensive approach” con cui la UE ha saputo coniugare componente militare e componente civile, in una pluralità di missioni e operazioni (ad oggi, 15 completate e 18 in corso) in contesti spesso di grande delicatezza.

Sarebbe però altrettanto fuori luogo compiacersi di un quadro che – come vediamo di fronte alle tante crisi in atto – trova l’Europa spesso incapace di “parlare con una voce sola” e (soprattutto) di agire in modo efficace sulla scena internazionale. Sono in discussione gli orientamenti strategici dell’Unione, i mezzi per metterli in atto, il quadro istituzionale in cui essi sono inseriti.

Arduo parlare “con una voce sola” senza una coerente e condivisa strategia europea. In questo senso, rimane un riferimento il documento “Un’Europa sicura in un mondo migliore”, che definiva “una strategia europea in materia di sicurezza”, predisposto dall’allora Alto Rappresentante Javier Solana e adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2003. Un documento che aveva il pregio di identificare sfide e minacce globali, obiettivi e passi conseguenti richiesti all’Europa. Una strategia che oggi richiede un profondo e urgente ripensamento – come mostra fin dal suo incipit: “Mai l’Europa è stata così prospera, sicura e libera”.

Quando si parla di “mezzi” per realizzare le proprie strategie, la Ue deve fare i conti con le proprie capacità in campo militare. Siamo forse maestri di soft power, ma il contesto in cui viviamo non consente di prescindere dall’hard power – salvo delegarlo a un sempre più riluttante alleato americano. Sono ampiamente documentati (anche da uno studio del CSF e dello IAI) “i costi della non-Europa della difesa”, con 28 eserciti nazionali. Sforzi di coordinamento e condivisione (“pooling and sharing”) sono stati compiuti. Ma proprio la crisi economica, con i rischi di tagli “nazionali” non coordinati, impone una reale discontinuità, che parta dall’individuare le necessità di una difesa comune (davvero) europea nei prossimi decenni.

Certo non basterà il volontarismo di Stati prigionieri impotenti di “interessi nazionali”. È necessario (anche) un quadro istituzionale all’altezza della sfida: il Trattato di Lisbona ce lo offre, con lo strumento della “cooperazione strutturata permanente” che può essere instaurata da “gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative” (art. 42.6). Non è necessario un numero minimo di aderenti per vararla e su di essa il Consiglio delibera a maggioranza qualificata (senza possibilità di veto).

Sessant’anni dopo il fallimento della CED, siamo all’inizio di una nuova legislatura europea, che si è aperta con la grande svolta della “parlamentarizzazione” della scelta del Presidente della Commissione europea. In essa “tout se tient”, tutto è interdipendente: il rafforzamento dell’eurozona, dotandola di un corposo bilancio, è condizione anche per costruire una “Unione della difesa”, che a sua volta non è immaginabile – come ben compresero De Gasperi e Spinelli – senza un’Unione politica.

Il governo italiano, che ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, ha ragione nel sottolineare che questi devono essere considerati i primi sei mesi di un quinquennio in cui l’Europa dovrà compiere scelte decisive. Con anche la nomina del Ministro degli esteri Federica Mogherini alla carica di Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – ruolo di cui si sottovalutano pervicacemente poteri e potenzialità – l’Italia può essere di nuovo protagonista nella costruzione di una credibile difesa europea e di una vera federazione europea.

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Messaggio Da ART- Lun Set 01, 2014 6:15 pm

Non mi dilungherò a scrivere dettagli sul (vasto) nucleo di esercito esercito europeo che sarebbe dovuto nascere con la CED, che già prima della bocciatura aveva pronti anche i prototipi delle uniformi e i gradi, mi limiterò a fare alcune semplici considerazioni da intenditore della materia armi & difesa.

L'assenza di forze armate europee è un cataclisma - questo secondo me il termine più adatto - che si può anche stimare numericamente in termini di puro e semplice costo (come dice l'articolo c'è chi questo calcolo l'ha già fatto) ma è più difficile da concepire se consideriamo l'aspetto operativo.

Cercherò di renderlo con un dato semplice: l'UE intesa come somma dei suoi membri spende per la difesa grossomodo la metà degli USA, ma le capacità militari europee complessive sono nettamente inferiori alla metà di quelle USA.
Noi europei complessivamente presi non abbiamo operativi la metà dei carri armati USA, la metà delle navi da guerra USA, la metà dei caccia USA, la metà delle testate nucleari USA, la metà della capacità USA di "proiezione di potenza", eccetera. Ma anche se avessimo numeri proporzionati la capacità complessiva dell'apparato sarebbe lo stesso di gran lunga inferiore.

Come può essere tutto questo?
E' semplice: la "sovranità nazionale" mantiene l'Europa debole, la capacità militare europea frazionata in 28 parti autonome, anche se in maggioranza legate dalla NATO, impedendo l'ottimizzazione di risorse che complessivamente sono rilevanti ma sono sparpagliate a casaccio in base alle dimensioni e la ricchezza degli stati.
Risultato finale di questa impostazione è che in UE solo due paesi , Francia e UK, hanno forze armate di una qualche rilevanza a livello mondiale. Tutti gli altri seguono a ruota fra chi è molto meno capace, chi ha poco e chi ha forze armate praticamente solo simboliche.
E tralasciamo l'altro effetto principale della "sovranità nazionale": la difficoltà ad esprimere e sviluppare le capacità tecnologiche europee, che sono molto ampie, a causa del frazionamento anche nel campo della ricerca e dei progetti di sviluppo degli armamenti, solo in parte compensato dai programmi comuni.

Confronti con le maggiori potenze mondiali, quelle davvero sovrane e in grado di farsi sentire chiaramente, non è neanche il caso di farne...
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