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Covid-19, ecco cosa spiega lo studio effettuato a Vo'

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Messaggio Da Verci Mer Apr 29, 2020 8:12 am

di Francesco Suman



Covid-19, ecco cosa spiega lo studio effettuato a Vo' Vo-euganeo-coronavirus

Dallo scorso weekend lo studio scientifico compiuto a Vo’ dal team guidato dal professor Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova, è disponibile in pre-print sull’archivio MedRxiv. Il lavoro è ancora sotto il vaglio di Nature, ma ha passato già il primo step di revisioni e la rivista, per l’eccezionalità dei dati e la loro pubblica utilità, ha acconsentito a renderlo accessibile in via preliminare.

Il dato più importante che emerge dal lavoro, di cui si era già ampiamente discusso e su cui si sono consumate polemiche scientifiche e istituzionali, riguarda la percentuale di asintomatici, ovvero gli individui che sono positivi al Sars-Cov-2, possono trasmetterlo, ma non sanno di averlo in quanto non manifestano i sintomi della malattia. Uno studio uscito su Science il 16 marzo già stimava con un modello l’ampia percentuale di infezioni non documentate. Ora lo studio di Crisanti conferma che su una popolazione reale, quella di Vo’, di 2.800 individui al primo campionamento (effettuato a fine febbraio, dal 21 al 29) e di 2.300 al secondo campionamento (effettuato il 7 marzo), era asintomatico il 43% dei positivi al virus

Il dato era già stato anticipato e aveva spinto la Regione Veneto a puntare su una campagna di tamponi per anticipare gli spostamenti del virus. Ad oggi il Veneto ne ha compiuti circa 268.000, ha raggiunto un ritmo di 7.000 tamponi al giorno, grazie all'acquisto di una nuova macchina per le analisi, e ha effettuato 55.000 tamponi per ogni milione di abitanti. La media italiana è 28.000, quella tedesca 20.000 e quella francese 7.000.

Il 21 febbraio all’ospedale di Schiavonia viene registrato il primo decesso per CoVid-19 in Italia. Il paziente 77enne è di Vo’ e la cittadina di quasi 3.300 abitanti viene messa in quarantena, dal 23 febbraio all’8 marzo. Durante questo periodo l’intera popolazione di Vo’ è stata sottoposta a tamponi nasofaringei per fotografare il grado di diffusione del contagio.

Lo studio di Crisanti, cui ha collaborato l'Imperial College di Londra e uno statistico dell'università di Oxford, mostra non solo l’efficacia delle misure di distanziamento sociale nell’interruzione della catena di trasmissione del contagio, ma anche la necessità di un intervento di tracciamento tempestivo dei casi e dei loro contatti, seguito da eventuale isolamento. Se l’indice riproduttivo del virus R0, ovvero il numero di individui che ogni positivo infetta, era circa 3 l’ultima settimana di febbraio, è stata registrata, l’8 marzo, una discesa a 0,1. Le misure di contenimento a Vo’ hanno dunque ridotto l’infezione di un valore compreso tra l’89% e il 99%.

Alla conferenza stampa della Regione Veneto tenuta il 21 aprile presso la sede della Protezione Civile di Marghera, Crisanti ha evidenziato come lo studio di Vo’ sia “un modello anche per il futuro, perché se ci sarà un nuovo focolaio sapremo esattamente cosa fare. Questa è una lezione che via via stanno imparando tutti: la ricetta per eliminarlo è quella che noi abbiamo tracciato”.

"Lo studio di Vo’ è stato giustamente definito un esempio internazionale" ha dichiarato il rettore dell'università di Padova Rosario Rizzuto, "abbiamo una popolazione interamente studiata, abbiamo capito quanto frequenti sono gli asintomatici, abbiamo ricostruito le catene di contagio, anche all'interno degli ambienti ristretti".

Al primo campionamento, che ha coperto circa l’86% degli abitanti del paese dei colli Euganei, era stata trovata positiva il 2,6% della popolazione (73 persone), un’enormità l’ha sempre definita Crisanti, contando che si trattava dell’inizio della curva dei contagi. Al secondo campionamento, cui si è sottoposto volontariamente il 71% del paese, i positivi erano l’1,2% della popolazione (29 persone), e i nuovi infetti lo 0,3% (8 persone). Al primo campionamento 30 delle 73 persone erano asintomatiche (il 41%), mentre al secondo lo erano 13 delle 29 (quasi il 45%). Degli 8 nuovi casi, 5 erano asintomatici.

L’analisi dei contatti e della catena di trasmissione ha rilevato che quasi tutti i nuovi infetti hanno contratto il virus da individui, alcuni sintomatici altri asintomatici, che avevano incontrato prima del lockdown o con cui condividevano uno spazio domestico. Lo studio evidenzia che la probabilità di infettarsi stando a contatto con un individuo positivo all’interno dello stesso spazio domestico è di circa l’85%.

Altri dati interessanti emergono dal lavoro: le analisi genetiche (RT-PCR) dei campioni virali nasofaringei hanno mostrato che la carica virale registrata sui cittadini di Vo’ non differisce in modo sostanziale tra sintomatici e asintomatici, a conferma di quanto già osservato nello studio che ha fatto risalire al 1° gennaio il primo caso di CoVid-19 in Lombardia e a conferma della contagiosità degli asintomatici. I ricercatori hanno anche rilevato che la trasmissione dell’infezione può avvenire prima che un paziente manifesti sintomi della malattia: sono i cosiddetti pre-sintomatici.

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Un altro dato che merita approfondimento è che nessuno dei 234 bambini al di sotto dei 10 anni, 13 dei quali hanno vissuto a contatto con positivi in grado di trasmettere l’infezione, è risultato positivo al virus. Questo dato avvalora l’ipotesi (ancora da verificare) che i più piccoli possano essere immuni al contagio per via del fatto che potrebbero non aver sviluppato ancora un numero sufficiente di recettori (Ace2), che costituiscono la porta di ingresso per il virus.

Anche l’analisi delle fasce d’età restituisce informazioni preziose: fino ai 50 anni la prevalenza dell’infezione si assesta intorno all’1.5%. Molto più colpiti sono gli ultra cinquantenni, fascia in cui la prevalenza triplica il suo valore. Il 17% dei positivi ha avuto bisogno di ospedalizzazione: uno solo di questi aveva meno di 50 anni. Anche i primi dati provenienti dalla Cina suggerivano che gli ultra sessantenni fossero la categoria più colpita, ma dalla prima ondata di contagi che ha colpito gli Stati Uniti si è capito che anche i più giovani sono a rischio: a metà marzo negli Usa il 20% dei pazienti ospedalizzati era compreso tra i 22 e i 44 anni.

Restando a Vo', si è visto anche che più di due terzi di coloro che sono risultati positivi al primo campionamento sono risultati guariti dall’infezione al secondo campionamento. La media del tempo di guarigione è di poco superiore ai 9 giorni. Anche a Vo’ gli uomini sono risultati più colpiti delle donne, mentre non sono state trovate significative correlazioni tra il CoVid-19 e altre condizioni patologiche come diabete, ipertensione, altre malattie vascolari e respiratorie e trattamenti ad esse associate.

Gli effetti positivi dell'isolamento si sono visti anche sui dati relativi all’intervallo seriale, ovvero il tempo che intercorre tra il presentarsi di un caso e l’altro nella catena di trasmissione dell’infezione: era stato stimato di 6,9 giorni prima della quarantena, in accordo con quanto osservato anche in Lombardia nei comuni del lodigiano, mentre è salito a 10,2 giorni al termine del lockdown.

Una ricostruzione generale dell’andamento dell’epidemia stima che il 4,4% della popolazione di Vo’ sia entrata in contatto con il virus e colloca il primo caso a Vo’ addirittura nella seconda metà di gennaio, un mese più indietro rispetto alla morte del 77enne all’ospedale di Schiavonia, avvenuta il 21 febbraio. In Lombardia del resto è stato mostrato che il virus era presente almeno già dal 1 gennaio.

Dallo studio di Crisanti, finanziato dalla Regione Veneto, dal Medical Research Council (MRC) e dal Department for International Development del Regno Unito e dal programma EDCTP2 dell’Unione Europea, emergono elementi importanti, su tutti la percentuale di asintomatici, al 43%, e la loro capacità di trasmettere l’infezione. Ma rimangono anche molte domande aperte. Andrà sicuramente indagata più a fondo la risposta dei bambini e la loro capacità di resistere all’infezione. Ma non solo.

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“Nelle famiglie c'erano persone malate e persone che non si sono mai ammalate, indipendentemente dall'età. Abbiamo visto persone che sono guarite subito e persone che invece sono rimaste positive per tantissimo tempo” ha riportato Andrea Crisanti in conferenza stampa il 21 aprile. “Questa infezione non è uguale per tutti. C'è qualcosa che ancora non capiamo, sia dalla parte del virus sia dalla parte dell'organismo e delle sue capacità di risposta. Ci sono persone che rimangono positive per 8 settimane, non sappiamo perché. È una domanda scientifica cui vogliamo dare risposta”.

È per questo che a Vo’ partirà nei prossimi giorni quella che potremmo definire la fase 2 dello studio scientifico. “L'obiettivo è quello di sequenziare il genoma di ogni singolo abitante di Vo’. Vogliamo verificare se la suscettibilità o la resistenza alla malattia sono associate a certi marcatori genetici o particolari varianti di geni. Questa sarebbe un’informazione formidabile, perché ci permetterebbe di identificare le persone che sono potenzialmente resistenti o potenzialmente molto suscettibili, capire quali caratteristiche hanno, con implicazioni importantissime per la sanità pubblica. Con queste conoscenze, nel momento in cui una persona si ammala verrebbe immediatamente indirizzata verso un percorso particolare”.

Oltre alle predisposizioni genetiche, il nuovo studio andrà a indagare nel dettaglio anche la risposta immunitaria. “Quella di Vo’ è la situazione ideale per capire la risposta immunitaria e l’utilità dei test immunologici, perché sappiamo esattamente chi si è ammalato, sappiamo chi era sintomatico e chi era asintomatico, sappiamo per quanto tempo sono rimasti positivi. Quindi oltre all'analisi genetica degli abitanti e all'analisi del cosiddetto tracciamento virale (analisi genetica del virus, ndr) faremo lo studio della risposta anticorpale”.

“Ora l'ambizione è di ottenere una visione ancora più grande” ha spiegato il rettore Rizzuto alla conferenza stampa della Regione Veneto, “che è quella di capire come è fatto questo virus, come cambia, qual è la nostra risposta al virus. Proprio per il lavoro che è già stato fatto abbiamo un vantaggio, abbiamo la possibilità di riuscire ad acquisire le nozioni molecolari quindi riuscire a capire qualcosa di più sia sulla risposta dell'ospite e su quella del virus, quali sono i veri determinanti.”

Per questo nuovo studio sono già stati stanziati 2 milioni di euro, provenienti da istituzioni nazionali, internazionali e donatori volontari. I primi campionamenti dovrebbero iniziare il 25 aprile, poi si passerà alle analisi. Molto complessa sarà quella genetica: “Dall’analisi del genoma di un individuo si ricava una montagna di informazioni, che bisogna mettere a confronto con una miriade di variabili. Ci vorranno 6 mesi almeno” specifica Crisanti.

Alle analisi genetiche e a quelle anticorpali i cittadini di Vo’ potranno sottoporsi su base volontaria. “A questo punto vorrei ringraziare la popolazione di Vo’, che veramente è stata molto collaborativa, specialmente nel secondo campionamento, quando non glielo aveva chiesto nessuno. Abbiamo avuto un’adesione elevatissima" conclude Crisanti. "Per il terzo campionamento noi vogliamo ovviamente anche fare il tampone, per verificare che tutti quanti siano effettivamente negativi. E faremo un prelievo di sangue per l’analisi anticorpale. Il mio ringraziamento va anche al sindaco di Vo’ perché ha capito l'importanza sociale di questo studio, che può fornire all’Italia la capacità di acquisire informazioni per migliorare la nostra capacità di lotta al virus”

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Messaggio Da Verci Ven Mag 01, 2020 4:13 pm

Covid-19: nei casi gravi è una tempesta sull'intero organismo.

Il virus Sars-CoV-2 agisce in modo diverso da qualsiasi altro patogeno che l’umanità abbia conosciuto in passato e, nei casi gravi, arriva a colpire l’intero organismo umano non risparmiando anche organi molto diversi dal sistema respiratorio, come intestino, occhi, reni e cervello, e alterando il funzionamento del cuore e dei vasi sanguigni con conseguenze che possono essere letali. A descrivere come il nuovo coronavirus possa dare luogo a una malattia sistemica che lacera tutto il corpo è la rivista Science in un articolo che approfondisce cosa accade ai pazienti in cui l’infezione evolve negativamente, una quota che secondo gli autori rappresenta circa il 5% dei contagi.

Gli interrogativi su questa malattia sono ancora molti e, sottolinea l'articolo, uno dei punti che sta attirando maggiormente l’attenzione degli esperti è la necessità di capire se all’origine dei casi particolarmente gravi ci sia una iperreazione del sistema immunitario, chiamata "tempesta di citochine", oppure se il fattore chiave sia da identificare più nella capacità del virus di favorire coaguli nel sangue e attacchi cardiaci, elemento che spiegherebbe perché tra i principali fattori di rischio ci sono patologie come il diabete e l'ipertensione.

All’origine dell’infezione c’è l’inalazione di goccioline di virus diffuse da una persona infetta. I punti di ingresso possono essere tre: occhi, naso e gola. In particolare l’articolo di Science, che ha raccolto osservazioni cliniche e le più rilevanti scoperte effettuate in questi mesi dei ricercatori di tutto il mondo, sottolinea che recenti studi in fase di preprint hanno evidenziato come il virus Sars-CoV-2 trovi nel naso un ambiente particolarmente favorevole perché le cellule della sua superficie sono ricche del recettore ACE2 che viene utilizzato dai coronavirus per entrare nelle cellule e iniziare la sua moltiplicazione. Nei primi giorni successivi al contagio i sintomi possono essere assenti oppure possono comparire febbre, tosse secca o dolori alla testa e al corpo, ma anche perdita del gusto e dell’olfatto che sono manifestazioni senza precedenti nelle infezioni respiratorie. Se in questa fase iniziale il sistema immunitario non riesce a respingere il virus, quest’ultimo può attraversare la trachea e attaccare i polmoni, infiammando gravemente gli alveoli e compromettendo l’assorbimento dell’ossigeno. Sebbene i polmoni siano il punto di partenza, la malattia però può anche estendersi all’intero organismo - in modo diretto attraverso i danni provocati dal virus o a causa della risposta incontrollata del sistema immunitario - e raggiungere il sistema cardiocircolatorio e cerebrale, con il rischio di infarti, encefaliti e ictus, ma può arrivare anche al fegato, ai reni e all’intestino".

Per cercare di capire perché questa infezione può avere un decorso particolarmente complesso e perché, al contrario, in alcuni soggetti può restare in forma asintomatica abbiamo intervistato la professoressa Antonella Viola, docente di Patologia generale all'università di Padova e direttrice dell'Istituto di ricerca pediatrica Città della speranza, a cui abbiamo chiesto anche una valutazione sul ruolo che potranno avere i test sierologici



L'intervista completa alla professoressa Antonella Viola del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

Nel decorso di Covid-19 - chiarisce l'immunologa Antonella Viola - "il sistema immunitario, sembra essere una discriminante molto importante, ma occorre ricordare che in molti casi la risposta dell’ospite condiziona l’esito di una malattia. Quello che sappiamo è che il virus entra appunto attraverso le mucose nasali dove è presente il recettore Ace2, che è questo enzima che converte l’angiotensina e normalmente serve a regolare la pressione sanguigna. Il recettore Ace2 è presente però non solo nelle mucose nasali, ma in tante cellule del nostro corpo: lo troviamo sui polmoni, sull’endotelio dei vasi, nel cuore, nei reni, nell’intestino e anche nel cervello e, a tale riguardo, gli ultimi dati stanno dicendo che ci può essere anche un tropismo di questo virus nel cervello".

Sin da subito questo enzima è stato individuato come la principale porta di ingresso dell'infezione perché, come fu anche nel caso della Sars, gli spike del virus si agganciano facilmente al recettore Ace2. "Questo - prosegue la docente - spiega il fatto che il virus potenzialmente sia in grado di colpire tutti gli organi che presentano il recettore e quindi tutte le cellule in cui il virus ha la possibilità di entrare per potersi moltiplicare. L’azione diretta del virus, come dicevo, riguarda il cuore, i polmoni, i vasi, il cervello - su cui però ci sono ancora delle discussioni - l’intestino, infatti sappiamo che molti pazienti sviluppano una sintomatologia gastrointestinale, e anche i reni".

In alcuni casi a questo ruolo diretto del virus si somma l’azione dell’infiammazione"Il virus quando entra infetta le cellule che hanno il recettore, ma viene anche riconosciuto dal sistema immunitario che comincia la sua produzione di fattori che bloccano la replicazione virale, come ad esempio gli interferoni, e inizia a mettere in atto una serie di risposte per bloccarlo. Quando questo è sufficiente si manifesterà probabilmente solo la sintomatologia delle alte vie respiratorie, come potremmo avere in alcuni casi, soprattutto nei bambini, una sintomatologia più di tipo gastrointestinale. Ma se invece l’azione del sistema immunitario non è sufficiente il virus si replica molto, comincia a colpire tante cellule del nostro corpo e attiva una risposta infiammatoria: questa grande diffusione del virus, insieme al danno stesso che il virus sta causando in vari distretti del nostro corpo, attivano una risposta immunitaria pro-infiammatoria con la produzione di queste citochine, di cui abbiamo ormai sentito parlare tanto, che causano questa tempesta citochinica, quindi l’interleuchina 1 beta e l’interleuchina 6, che vanno poi a loro volta ad agire in maniera sistemica su tutto il corpo. Quindi queste molecole del sistema immunitario non agiranno solo sui tessuti in cui il virus è entrato, ma possono agire su tantissimi tessuti del nostro corpo, andando a causare la patologia esse stesse. In queste eventualità abbiamo davvero una doppia azione: quella diretta del virus che danneggia le cellule in cui entra e l’azione dovuta alle citochine infiammatorie e all’infiammazione in generale che alterano i tessuti, i vasi soprattutto, in maniera importante.

Una delle sfide principali è comprendere quali fattori condizionano la risposta immunitaria e perché, in alcuni casi, anche persone giovani e senza patologie pregresse possano andare incontro a un decorso della malattia particolarmente complesso che non esclude esiti letali. "Ancora non lo sappiamo - prosegue la professoressa Antonella Viola - e infatti questa è la grandissima scommessa in questo momento: cercare di capire perché in alcuni casi il sistema immunitario controlla il virus e fa partire solo le risposte protettive, mentre in altri casi parte questa risposta severa del sistema immunitario e la conseguente infiammazione. Ed è uno dei motivi per i quali in questo momento tantissimi laboratori al mondo si stanno concentrando sull’analisi della risposta immunitaria, così come stiamo facendo anche noi in Istituto dove stiamo cercando appunto di capire, analizzando le singole cellule dei pazienti, qual è una risposta protettiva e quale invece una risposta dannosa. Questa è un’informazione molto importante anche per lo sviluppo dei vaccini perché il vaccino deve stimolare il sistema immunitario andando ad agire sulla risposta protettiva. Recentemente è uscito un articolo su Nature Immunology in cui si sottolineava come anche il ruolo degli anticorpi è un po’ da discutere perché l’anticorpo neutralizzante, l’anticorpo che blocca il virus non permettendogli di entrare nelle cellule è sì protettivo ma solo a una certa concentrazione, perché se scendiamo sotto a una certa soglia questo stesso anticorpo può essere dannoso per il paziente in quanto può stimolare la risposta infiammatoria".

Lo studio avviato dall'Istituto di ricerca pediatrica Città della speranza ha proprio l'obiettivo di individuare le cause della diversa risposta al virus Sars-CoV-2 e caratterizzare perché in alcune persone è meno efficiente. "Il nostro - spiega Antonella Viola, direttrice scientifica dell'Irp - è uno studio internazionale e stiamo lavorando insieme ai colleghi di Milano e ai colleghi tedeschi per definire esattamente i protocolli e stiamo interagendo con la clinica per la raccolta dei campioni. E’ uno studio molto ambizioso perché di solito questi studi su singola cellula, in cui si va a fare l’analisi trascrittomica su singola cellula, si effettuano su pochi pazienti a causa dei costi estremamente alti e anche per le difficoltà in termini di gestione dei dati. Noi, grazie a questa collaborazione e alla Fondazione Città della speranza che ha deciso di dare la prima parte del finanziamento, possiamo ambire, in questo momento, ad analizzare un numero di pazienti che sarà tra i cento e i duecento. Valuteremo man mano se fermarci a cento, nel caso in cui i dati che otterremo saranno sufficienti, o se dovremo proseguire e allargare. E’ interessante perché vogliamo fare uno studio longitudinale, quindi andare a vedere come viene modulata la risposta nello stesso paziente".
 

Il ruolo dei test sierologici 


Molte attese sono riposte anche nei confronti dei test sierologici, sebbene l'Oms abbia precisato che non ci sono ancora certezze sul fatto che essere guariti dall'infezione garantisca un'immunità nel tempo e abbia così messo un freno alle dichiarazioni di alcuni governi che, nei giorni scorsi, avevano parlato di "patente di immunità" come elemento su cui contare per predisporre strategie di allentamento del lockdown.
Il bando indetto dal governo per per la fornitura di test sierologici in Italia è stato assegnato all'azienda farmaceutica americana Abbott che ha annunciato la distribuzione di 4 milioni di test entro la fine di maggio. "Il nuovo test - spiega la Abbott - ha dimostrato specificità e sensibilità superiori al 99 per cento 14 giorni o più dopo l'insorgenza dei sintomi e identifica l'anticorpo IgG, una proteina prodotta dall'organismo nelle fasi avanzate dell'infezione". 

"Sicuramente - commenta la professoressa Antonella Viola - già il fatto che si sia scelto un test che verrà utilizzato a livello nazionale è un gradissimo passo avanti. Io e tantissimi colleghi ci siamo battuti sin dall’inizio perché lo scenario peggiore poteva essere che ognuno si muovesse con il proprio test e io ho visto anche test prodotti e venduti alle persone, casa per casa, per poter dire se si è immuni o no. Questa è una cosa pericolosissima. Adesso abbiamo un test in mano al Sistema sanitario nazionale che andrà appunto a fare questo screening che è importantissimo. Il test che è stato scelto, sulla carta e penso anche nella realtà perché l’azienda che ha vinto il bando è molto seria, è molto sensibile e specifico. Quindi avremo delle informazioni molto precise sulla diffusione della malattia nella popolazione. Potremo vedere effettivamente, prima di tutto, quante sono le persone che sono entrate in contatto con il virus, potremo rivedere le stime della mortalità che, per esempio, adesso sembrano piuttosto alte nel nostro Paese ma se la diffusione fosse nettamente più alta si potrebbe ridimensionare. E poi se possiamo eseguire il test nel tempo, nei mesi a venire, possiamo anche studiare quanto si mantengono questi anticorpi nel paziente, capire la durata della protezione e valutare se invece, ma speriamo tutti di no, c’è una risposta che cade molto rapidamente. Possiamo anche vedere in quali pazienti gli anticorpi si sviluppano e in quali invece questo non avviene. Quindi lo screening ci darà moltissime informazioni".

Come affrontare la fase 2


Per concludere abbiamo chiesto alla docente una valutazione sulle ultime decisioni del governo che dovrebbero gradualmente far entrare il Paese verso la fase 2, quella della riapertura dei settori produttivi e commerciali che non erano rientrati nelle categorie autorizzate a proseguire l'attività durante il lockdown, e dell'allentamento delle misure restrittive nei confronti dei cittadini. "A mio avviso il governo ha fatto bene ha scegliere la linea della prudenza perché il rischio di una risalita della curva sarebbe devastante per il Sistema sanitario e non possiamo tornare nuovamente a caricarlo, senza considerare quanto sono già provati i medici e tutto il personale sanitario. Penso alle persone che non vogliono ripiombare nell’incubo che abbiamo vissuto nella settimane scorse. Ma penso anche all’economia perché una ripartenza della curva dei contagi sarebbe fatale. La strada della prudenza è giusta. Però, come ho già sottolineato in diverse occasioni, non bisogna lasciare il carico e la responsabilità soltanto sulle spalle dei cittadini, che sicuramente devono essere prudenti ed evitare assembramenti, usare le mascherine e così via, ma anche lo Stato deve fare la sua parte attraverso un’azione importante di test, effettuare un numero elevato di tamponi per identificare eventuali asintomatici, bisogna essere in grado di identificare le persone attraverso il tracciamento dei contatti perché se rileviamo una persona malata dobbiamo immediatamente testare tutti coloro con cui il soggetto è entrato in contatto. Quindi occorre un’azione sia da parte del cittadini che da parte del governo".

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