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Integrazione politica dell'Europa: unica salvezza per il "vecchio continente"

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Messaggio Da Erasmus Ven Mag 02, 2014 1:19 pm

Trascrivo un documento che mi pare ... buono. Contiene molte argomentazioni sostenute dai federalisti europei.
Sostiene la necessità di una autentica Federazione Europea, pone particolare attenzione all'Eurozona e fa riferimento anche alla recente iniziativa dei federalisti "New Deal for Europe", concretizzatasi nell'ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei, registrata in marzo dalla Commissione Europea).
Si veda, a proposito dell'ICE dei federalisti europei:
––>ICE: inziativa dei Cittadini Europei (in questa sezione di questo forum);
––> New Deal For Europe (nel sito-web ufficiale dell'Iniziativa)


Il documento è stato preparato dalla rete "Costituzione, concilio e cittadinanza – Per una rete tra cattolici e democratici".


Fonte ––> c3dem | costituzione, concilio, cittadinanza
http://www.c3dem.it/

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L’Europa nostra patria: un rinnovato progetto di buona politica comune
Un appello della rete «Costituzione, concilio cittadinanza»

27 aprile 2014

 1.      Il progetto di integrazione europea rimane l’unica possibile salvezza del Vecchio continente, nella stagione della globalizzazione e della crisi della politica moderna, a fronte del rischio di invecchiamento e di impoverimento della società europea, contemporaneamente a quello di marginalizzazione economica e politica internazionale dei vecchi Stati e dei popoli dell’Europa. Il progetto europeo ha salvato la pace di un continente che si era lacerato in un trentennio di «guerra civile» distruttiva e ha accompagnato lo sviluppo e l’avvicinamento dei diversi popoli europei. Appare assolutamente dirimente ricordarlo oggi, proprio a cent’anni dallo scoppio dell’«inutile strage» della prima guerra mondiale (come la definì Benedetto XV). Ora, questo progetto resta l’unica possibilità di futuro, in un mondo in cui giganti politici come Cina o Stati Uniti condizionano sempre di più la pretesa asettica libertà economica del mercato globale. In un mondo, per giunta, in cui la crisi economica divenuta stagnazione strutturale mostra che il rapporto tra politica, economia e finanza va profondamente mutato. La crisi ha caratteri drammatici e chiede «più politica», proprio in tempi di «antipolitica» dilagante. Perché questo salto in avanti della politica ci sia – e sia anche positivo – occorre verificarla continuamente e misurarla sugli obiettivi e sui metodi. A livello nazionale è ormai difficilissimo trovare modo di cambiare: a livello europeo si può invece intravedere uno spiraglio per l’innovazione.

2.      Questa fiducia si scontra con il paradosso dell’attuale crescita di sentimenti e posizioni antieuropee. Occorre a nostro parere prendere sul serio le obiezioni che circolano. Si parla di squilibri tra i diversi settori, di egemonia di alcuni Stati su altri, di eccesso di burocrazia, di una regolamentazione eccessiva, di carenza di democrazia, di vincoli eccessivi della moneta unica. E’ certo che l’attuale struttura dell’Unione sia riformabile, ma queste critiche sono in parte frutto di opinioni errate o almeno forzate: ad esempio, non si può criticare la tecnocrazia di Bruxelles quando sono spesso i governi nazionali a frenare; oppure non si può sostenere che ci sia l’egemonia di alcuni Stati se gli altri sono assenti o silenti nel processo decisionale; non è vero che l’Europa serva a sprecare soldi degli Stati virtuosi verso i lassisti del Mediterraneo, come non è vero che l’Europa è la causa dei mali di chi si trova con bilanci fuori controllo e alta disoccupazione: piuttosto c’è un interesse comune degli uni e degli altri a trovare formule di Europa forte; non si può  pensare che la superiorità della legge europea su quella nazionale sia frutto di un caso perverso, quando è stata decisa proprio per salvare i governi democratici dal caos; non si può temere il «super-Stato» europeo quando in tempi di crisi tutti chiedono più tutele agli Stati; non si può credere al mantra dell’Europa subalterna alle banche, quando l’unica forma di regolamentazione efficace delle banche sta venendo dall’Europa; non si può pensare che sia possibile «uscire dall’euro» senza costi e rilanciare così l’economia nazionale, sottovalutando il dramma dell’isolamento e della distruzione di risparmi e ricchezza che questa scelta comporterebbe. Se queste polemiche appaiono quindi infondate, altre critiche possono essere più ragionevoli e addirittura necessarie, ma non portano a chiedere «meno Europa», quanto piuttosto «una diversa Europa», con istituzioni rappresentative e capaci di decidere,  oltre che con più convinzione della solidarietà nell' interesse comune.

3.      L’Unione europea che oggi conosciamo è frutto di un cammino i cui promotori hanno sostenuto che un accrescimento progressivo delle competenze avrebbe portato quasi insensibilmente a una vera unione politica (era la tesi dei «funzionalisti»). L’ultimo passaggio è stata la moneta unica: cedere questo potere da parte degli Stati avrebbe di fatto realizzato una nuova sovranità europea. Oggi questa promessa non ci sembra credibile, perché siamo arrivati a un processo istituzionale molto elaborato, ma la volontà politica comune è lontana e l’Euro stesso soffre di questi limiti. Anche a questo proposito però c’è un paradosso: qualsiasi strada che appaia più democratica è bloccata dalle paure rispetto a processi di legittimazione complicati e incerti (i referendum su un «salto di qualità costituente» in alcuni paesi sarebbero difficili da vincere). Noi però continuiamo a credere che l’obiettivo finale dovrà essere una unione politica federale europea. Senza una coesione politica, l’Europa resterà sempre monca e incompleta: il problema arduo è come arrivarci. Per ora, in mancanza di alternative più credibili, sembra necessario utilizzare gli spiragli che esistono già nelle attuali istituzioni. Ad esempio, già le nuove regole del Trattato di Lisbona chiedono al Consiglio europeo (dei capi di governo) di indicare la presidenza della commissione «tenendo conto» del risultato elettorale delle elezioni del parlamento, il quale dovrà poi anche votare la commissione. Sono tutti passaggi democratici inediti, che vanno nella direzione dell’unione politica che vogliamo e quindi vanno valorizzati.

4.      Allora, prendiamo sul serio le elezioni di parlamento del 25 maggio. Non si tratta di un rito stanco per creare un’istituzione debole. La posta in gioco sullo sfondo di queste elezioni è invece alta e significativa. I risultati elettorali (quanti cittadini voteranno, quali forze politiche avranno la maggioranza) possono essere significativi almeno su tre fronti diversi.
• a)       Superare l’austerità. L’azione coraggiosa della Bce per ora ha salvato l’Euro, ma agendo al limite dei trattati. L’Euro finora ha funzionato soprattutto come vincolo di controllo per politiche di bilancio sane e stabili (partendo dai «parametri di Maastricht» fino all’ancor più rigido fiscal compact, che impone la riduzione progressiva dei debiti a chi supera il tetto del 60% sul Pil). Tali istanze hanno una loro giustificazione, ma se sono proseguite senza criterio in tempi di recessione, diventano strumenti di un circolo vizioso depressivo dell’economia. Se tutti tagliano la spesa pubblica, il reddito crolla e il debito, in rapporto al Pil, non può scendere. Occorre ora sperimentare tutte le caratteristiche dell’Euro come elemento di una forte sovranità europea. Proprio l’esistenza di una grande e solida moneta riconosciuta in tutto il mondo può dare spazio per politiche espansive (come hanno fatto, ciascuno a suo modo, Stati Uniti, Giappone e Cina). Occorre quindi costruire un’autonomia maggiore per l’Eurozona all’interno dell’Unione (il che è già una prospettiva aperta dal consiglio europeo alla fine 2013). E indirizzare coscientemente questa autonomia verso un vero e proprio new deal europeo. Il che significa accrescere il bilancio comune con altre risorse proprie, raccogliere maggiori finanziamenti sui mercati con gli Eurobond, tassare le transazioni finanziarie speculative (una Tobin tax europea non deprimerebbe l’economia reale e raccoglierebbe notevoli fondi, anche con aliquote minime). Lanciare quindi con queste risorse un piano di investimenti selettivi per una crescita sostenibile dell’economia del continente. Questa strategia deve diventare l’altra faccia del controllo di bilancio rafforzato e del fiscal compact. E’ interessante in questa direzione l’ “Iniziativa dei cittadini europei” (Ice) che è stata proposta da alcuni organismi della società civile: se essa raggiungerà un numero di firme sufficiente, potrà essere un fattore di pressione nelle istituzioni.
• b)      Rilanciare il modello sociale europeo. Occorre affrontare in modo creativo la tendenza all’invecchiamento delle popolazione e gli effetti di una struttura economica meno flessibile rispetto ad altre parti del mondo. Se ci faremo bloccare, accettando semplicemente di regredire sul livello del Welfare, perderemo quell’originalità europea che storicamente ci è stata invidiata, che è sostanzialmente riuscita a «quadrare il cerchio» tra dinamicità economica e protezione sociale. Nella dinamica della globalizzazione, questo rilancio è impossibile su scala esclusivamente nazionale. Il Consiglio europeo di ottobre 2014 è già stato programmato su questi temi (e quindi anche la presidenza italiana del semestre prossimo potrà svolgere un ruolo importante nel prepararlo). L’Europa è stata troppo subalterna alla logica della finanziarizzazione e al ciclo politico neoliberista globale, mentre ha conosciuto anch’essa una divaricazione crescente dei redditi e dei patrimoni che è deleteria per l’economia e per la società. Oggi ha il compito di vincolare finalmente gli strumenti finanziari e riprendere il solco della sobrietà, della ponderazione, della concertazione, della solidarietà sociale, della integrazione ordinata degli stranieri. L’Europa sociale non può che prendere forma attraverso un’ampia consultazione delle realtà vive delle diverse società, concordando modelli il più possibili comuni e convergenti. Il Welfare non può infatti sopravvivere solo in alcuni Stati mentre altri fanno competizione riducendo i loro costi. La cittadinanza stessa e i diritti umani e civili – anche dei cittadini di nuova immigrazione – non possono sopportare condizioni troppo divaricate. Non neghiamo che si debbano ridiscutere i privilegi, ma la cosa più importante è investire coraggiosamente sul futuro: saranno i «paesi emergenti» ad avvicinarsi a noi (e non il contrario), se saremo in grado di presentare la credibilità e la sostenibilità di un sistema europeo di Welfare moderno.
• c)     Affermare un nuovo protagonismo europeo nel mondo. L’Europa che in passato aveva unificato il mondo con lo slancio dell’economia e anche con la pressione imperialistica, oggi è di fronte al dilemma tra una crescente impotenza e la costruzione di un modello nuovo di «potenza civile». Per scioglierlo, occorre decisione e creatività. Si dovrebbe utilizzare sempre più nelle relazioni internazionali il modello cooperativo imparato dalle democrazie, attraverso la composizione degli interessi e non l’imposizione di forme egemoniche. Si tratta di un modello che non può che tornare a valorizzare la cornice dell’Onu, dopo il discredito degli ultimi anni. Occorre poi imparare dagli errori – si pensi alla storia dei Balcani nel decennio ’90, al Medio Oriente, alle vicende delle primavere arabe – e soprattutto superare le tentazioni dell’azione in ordine sparso da parte dei singoli Stati verso il mondo extra-europeo in una logica bilaterale perdente. Non ci sono più «grandi potenze» che possono ragionare come i vecchi paesi coloniali. Non basta cercare clientes, o limitarsi a esultare per le rivolte che facciano cadere regimi autoritari: per consolidare nuove democrazie occorre monitorare e accompagnare i processi, affiancarli con saggezza e sostegni economici, perché abbiano sbocchi positivi e fecondi. I casi aperti sono ancora molti, dal Mediterraneo all’Ucraina (in molte situazioni dove il nazionalismo è un pericolo da controllare). Ma tutto il mondo africano è ad esempio naturalmente portato a guardare all’Ue con una speranza che non va tradita.

5.      Resta infine aperto un problema culturale e comunicativo: l’Europa non è un dato di fatto, perché gli effetti del passato pluralistico sono ancora forti. Non c’è un unico popolo (demos) europeo consegnato dal passato, non c’è lingua comune né storia comune (anzi, la storia è spesso un elemento divisivo se non conosciuto con rigore e rielaborato appropriatamente nella memoria pubblica). L’Europa è irriducibilmente plurale e non può emergere unitariamente che come un progetto in cui le diversità si mettono assieme. Questo comporta anche sul piano religioso, che ci sta particolarmente a cuore, pensare l’Europa come frutto dell’eredità di grandi religioni, in primo luogo naturalmente il cristianesimo, ma anche come costruzione segnata intimamente dalla laicità. Intesa come metodo di convivenza alta e feconda, nella fraternità e nel dialogo, tra religioni, filosofie, convinzioni diverse. Da cattolici democratici, questo ci stimola a trovare modo di investire la fede nella ricerca comune di una approssimazione sempre più forte ai valori profondi dell’umanità europea e mondiale. L’Europa può quindi vivere solo come progetto, che si deve alimentare continuamente, formando un itinerario originale entro un progetto storico di pace e fratellanza. L’obiettivo comune sta nel futuro, ma deve essere raccontato come capace di creare identificazione e coinvolgimento nel presente. Per rilanciare l’Europa dobbiamo costruire una presentazione del progetto europeo che sia realistico nel suo procedere, sostenibile tecnicamente e al tempo stesso convincente in democrazia (cioè capace di costruire consenso). Occorre tutti portare il proprio contributo in questo cantiere aperto di nuova e buona politica.
27 aprile 2014

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Messaggio Da Condor Dom Mag 04, 2014 9:22 am

La data che sancirà la nascita della costituzione degli Stati Uniti d'Europa in una repubblica presidenziale federale, io non l'ho ancora vista scritta da nessuna parte.
Leggo tanti ottimi propositi per questa nostra Europa, ma di data anzidetta non se ne parla; perché per spegnere l'ardore degli euroscettici, occorre che quella data venga irrevocabilmente fissata, in caso contrario: salvezza per il vecchio continente, non ne vedo.
Probabilmente avremo ancora i soli eletti dal popolo tedesco come rappresentanti dell'Europa nel mondo, vedasi il recente incontro Obama-Merkel per trattare le sanzioni contro la Russia nella vicenda dell'Ucraina. Ma a proposito: cosa c'azzecca l'America con la questione Ucraina?
L'Europa dei trattati produce anche queste aberrazioni.
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Messaggio Da Erasmus Lun Mag 05, 2014 1:31 pm

Certo: fino che non si fissano le date di scadenza tutto è procrastinabile ... all'infinito!

Ma non spetta mica agli estensori di quel documento (che ho riportato) fissare le date!

A loro e a noi tutti della "società civile" (europea) spetta INSISTERE perché CHI PUO' (e "chi può" significa "Consiglio" dell'UE, cioè ancora "governi nazionali") si decida a fare questo salto di qualità.

[Gli estensori del documento hanno fatto il loro dovere. E noi?]

Ma sperare che siano i governi nazionali (che ancora vanno tronfi della loro fasulla "sovranità") che SPONTANEAMENTE facciano quel salto di qualità ... sarebbe come sperare che qualcuno che detiene le redini del comando decida SPONTANEAMENTE di suicidarsi!

Insomma: se non è il popolo europeo a braccare i propri governanti e costringerli a fare quel salto di qualità, questo lo vedo assolutamente improbabile, se non addirittura impossibile ... e mi pare naturale che non possa essere che così!

Allora: basta con le critiche a questo o all'altro "opinionista" o associazione, o movimento politico, quando insiste sull'importanza che avrebbe quel salto di qualità e quanto esso sia urgente!

Al contrario: raccogliamone il monito, rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare!
Come diceva Spinelli: «L'Europa non cade dal cielo!»
[E di nuovi  Schumann, Monnet, Spaack e De Gasperi all'orizzonte non se ne vedono affatto!]

«Fare l'Europa dipende da noi europei», da ciascuno di noi (come quando andiamo a votare abbiamo ciascuno il proprio minuscolo ma importante peso su quale sarà poi il governo che avremo).

Ciao Condor
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Messaggio Da Epoch Lun Mag 05, 2014 4:17 pm

Sinceramente non so come fare a dare un segnale. Chi dei tanti simboli che ci propineranno ha veramente in testa di Fare l'Europa?
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Messaggio Da Erasmus Lun Mag 05, 2014 5:40 pm

Epoch ha scritto:Sinceramente non so come fare a dare un segnale. Chi dei tanti simboli che ci propineranno ha veramente in testa di Fare l'Europa?
Come dicevo alle scorse elezioni (quelle del 2009), occorre scegliere prima le persone e poi (ovviamente!) la lista in cui figurano candidate.

Oddio: si rischia lo stesso di essere fregati!

L'altra volta ho votato per due persone validissime che, se elette, sarebbero finite nei Verdi/ALE, il "Gruppo" al PE più "federalista", presieduto allora da Daniel Cohn–Bendit e Monica Frassoni (quest'ultima proveniente – prima di essere eletta inaspettatamente in Belgio nel 1999 – nientemeno che dal Movimento Federalista Europeo – che non è un partito e non ha suoi candidati ad alcuna elezione). 
[Nel 2009 Cohn Bendit ha raccolto il 16% abbondante dell'elettorato francese, superando i socialisti di Hollande, con una campagna elettorale basata su ... parole tanto semplici quanto esplicite: Federazione Europea, Stati Uniti d'Europa come unica e vera possibilità di efficace politica ecologica a beneficio non solo dell'Europa ma del mondo intero].
Peccato, però, che i capoccia dei "verdi" nostrani (tra i quali non c'era purtroppo la Frassoni!) siano stati così furbi (inventando apposta la sigla  SeL, cioè Sinistra e Libertà – ma pensa che parole originali! – divenuta solo mesi dopo le europee SEL, cioè Sinistra Ecologia Libertà) da non arrivare al 4% [soglia introdotta dal governo berluschino, ma di fatto per la collusione di Veltroni con Berlusconi, allo scopo di tagliare i partiti piccoli ed aumentare quindi i "posti" per le lobby dei due più grossi partiti PD e PdL [pure nato in occasione delle europee 2009]. Altra furbizia dei verdi nostrani (cioè del neonato SeL) è stata quella di affidare la campagna ad esperti non di politica bensì di propaganda commerciale.
Morale: il SeL non ha superato la soglia 4%. E così nemmeno la presidente dei Verdi Europei (4° Gruppo al PE, cresciuto notevolmente a livello europeo proprio nel 2009), l'eccelsa Monica Frassoni, è stata eletta!
[Io non potevo votare "Frassoni" perché era candidata in altra circoscrizione].
Ed io ho buttato via il mio voto. O meglio: ne sono stato defraudato!

Invece è stato eletto – per esempio – Cofferati per il PD, candidatosi in extremis dopo aver promesso solennemente di non candidarsi, ma poi  rimangiandosi la promessa con la motivazione che fare il deputato europeo, siccome questo incarico non gli avrebbe assorbito troppo del suo tempo (!!!),– come invece assorbe il fare il parlamentare italiano, spiegava il buon Cofferati –  gli avrebbe permesso lo stesso di occuparsi di politica a livello locale!  Integrazione politica dell'Europa: unica salvezza per il "vecchio continente" 1112820856

Ma pensa, Epoch: in Germania, dove c'era la soglia del 3% alle Europee, la Corte Suprema l'ha fatta togliere (in quanto, secondo l'apposita sentenza, in contrasto con i fondamenti di democrazia rappresentativa sanciti nel Grundgesetz a causa delle grandi dimensioni delle circoscrizioni elettorali europee in rapporto al limitato numero di eleggibili). Da noi, dove per le europee non c'è mai stata alcuna soglia, ecco l'atra furbizia partitocratica di instituirla, addirittura al 4%.

[Il SeL è arrivato nel 2009 [vado amemoria] al 3,8 - 3,9 % ... anche perché la Bonino, invitata dal SeL a candidarsi in quella lista, ha rifiutato presentando invece una sua "Lista Bonino" pur sapendo benissimo che non avrebbe raggiunto nemmeno il 2% ... e invece sarebbe stata eletta se si fosse unita al SeL che allora avrebbe superato la soglia 4%. Evidentemente non aveva intenzione di entrare in PE, ma solo di farsi propaganda per mantenere la propria popolarità in vista di elezioni nazionali. Altro modo di "svaccare" le europee, rendendole una banale "circostanza" della politica  partitocratica e populista nazionale!
Ma lo sai che la Emma Bonino è "parlamentare" dal 1976?  Sono 38 anni! 34 netti come parlamentare italiana e 4 come membro della "Commissione Europea" sotto la presidenza Santer].

Scusa la lungaggine!

Ciao Epoch.
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