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«Mai più partiti fondati sulla religione»

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Messaggio Da Verci Gio Ago 22, 2013 12:18 am

Intervista a Hamdin Sabbahi, sindacalista nasserista, leader del Fronte di salvezza nazionale, favorito in caso di elezioni presidenziali: «Dalla destituzione di Mubarak non è cambiato nulla: non c'è stata redistribuzione delle ricchezze e siamo ancora un satellite degli Usa». E poi prevede: «Mubarak non sarà rilasciato».


Abbiamo incontrato il leader nasserista Hamdin Sabbahi nelle stanze dell'Hotel Marriott di Zamalek. Sabbahi è l'uomo su cui si concentra l'attenzione in queste ore, come favorito in caso di elezioni presidenziali. Il giornalista e sindacalista nasserista per un soffio non ha passato il primo turno delle presidenziali del giugno 2012, lasciando il campo aperto allo scontro tra Mohamed Morsi e Ahmed Shafiq, ma si sprecano le accuse avanzate dai suoi sostenitori di brogli elettorali. Con la partenza per Vienna di Mohammed El-Baradei, Sabbahi è il principale leader del Fronte di salvezza nazionale.

Ha criticato duramente Hosni Mubarak quando era al potere, cosa pensa del suo possibile rilascio: è un segno del ritorno del vecchio regime?
Non sarà rilasciato. Ha molte accuse a suo carico. Sono solo voci diffuse dagli avvocati. Questa sarebbe una decisione politica della Corte. Gli egiziani hanno chiesto le sue dimissioni durante la rivoluzione del 2011 perché è un dittatore: responsabile della violazione dei diritti umani per anni. Ma soprattutto Mubarak ha distrutto i diritti economici e sociali del paese. La sua cricca (i leader del Partito nazionale democratico), sono stati rimossi da una grande rivoluzione: la destituzione di Morsi è una seconda ondata di questa rivoluzione. Anche se Mubarak come persona è finita, dal 25 gennaio in poi il suo regime governa ancora l'Egitto, pure durante la presidenza Morsi. Questo è il punto più problematico per la Fratellanza: ha permesso cambiamenti solo di facciata, ma non politici. 

Cosa si aspettava che cambiasse dopo il 2011?
La distribuzione della ricchezza: pochi o cliques di multimilionari controllano ancora il paese e lasciano la maggioranza in povertà. Le stesse politiche di liberalizzazione di Sadat, questo capitalismo brutale che arricchisce i ricchi e affama i poveri, è continuato con Mubarak, Morsi e prosegue ancora. Nulla è cambiato neppure con il 30 giugno, in termini di giustizia sociale. In secondo luogo: non c'è democrazia. Abbiamo sofferto la dittatura del Partito nazionale democratico e poi della Fratellanza: lo stesso controllo tradizionale di una minoranza sulla maggioranza. In terzo luogo: non abbiamo ottenuto l'indipendenza nazionale. L'Egitto decide come un satellite degli Stati uniti. Ma dopo il 30 giugno stiamo riguadagnando la nostra indipendenza dall'egemonia. È indicativo che ci sia una diffusa domanda di indipendenza nelle decisioni politiche degli egiziani. Il primo segno è la scelta dell'esercito di sostenere la rivoluzione popolare del 30 giugno. Tutti noi sappiamo che l'esercito egiziano è legato agli Stati uniti per fornitura d'armi e aiuti militari. E sappiamo che l'amministrazione americana sosteneva il regime di Morsi. Il nostro esercito ha preso la decisione di appoggiare il popolo, senza aspettare il disco verde di Washington: significa che iniziamo a prendere delle decisioni indipendenti, libere. Per ora non è ancora cambiato niente: dobbiamo costruire una piattaforma per liberarci del regime di Mubarak.

La Russia e il Golfo sostituiranno gli aiuti americani?
Gli Stati uniti vogliono un Egitto diviso come Iraq e Siria, mentre al-Qaeda issa la sua bandiera nel Sinai. Diamo il benvenuto alla Russia e all'Arabia saudita. Il principe Abdullah ha una grande popolarità in Egitto. Invitiamo Vladimir Putin a venire al Cairo, lo acclameremo, come ha fatto Nasser con l'Unione sovietica.

Pensa che l'attuale governo ad interim sia di sinistra?
No, ma include uomini di sinistra: come Kamal Abu Eita, ministro del Lavoro; il vice presidente Hossam Eissa; il ministro della Solidarietà sociale El Borai e in qualche modo il vice premier, Ziad Bahaa El Din, ma tutto il resto del governo non ha nessun concetto o formazione di sinistra. Ma Eita è un vero leader sindacalista per i diritti dei lavoratori e un difensore dei diritti sociali. Si può dire che c'è un'ala di sinistra in questo governo: è la più grande novità dai tempi di Mubarak. 

Cosa significa essere nasserista nel 2013? Sisi è un nuovo Nasser?
Prima di tutto significa giustizia sociale: ridistribuzione della ricchezza per dare ai poveri i loro diritti economici e sociali, come esseri umani. Soprattutto contadini, operai e classe media che hanno vissuto la crisi sotto Mubarak e Morsi. Poi dignità nazionale: questi concetti sono incarnati nell'esperienza di Gamal Abdel Nasser, i nasseristi come me e la mia generazione, sono legati alle sue conquiste ma non alle sue pratiche di potere. Dobbiamo raggiungere gli stessi obiettivi in modo nuovo, collegato alla nuova sensibilità di questa generazione. Sisi (capo delle Forze armate, ndr) non è parte del movimento politico nasserista perché non ha mai fatto politica, ma con la sua discesa in campo in questo momento critico ha ricordato agli egiziani l'immagine di Gamal Abdel Nasser. Per due motivi: l'esercito egiziano ha preso le parti della maggioranza degli egiziani ed è tornata la nostalgia per Nasser, soprattutto nella classe media. Per questo dico che Sisi è un nasserista: per i suoi valori, i suoi modi, le sue scelte.


Lo scontro tra islamisti e governo continuerà?
I Fratelli sono dei perdenti politicamente, eticamente e socialmente. Ora siccome hanno deciso di usare la violenza si stanno trasformando nella mente della maggioranza degli egiziani in un gruppo terroristico. Rispetto a quello che succede nel Sinai e per gli attacchi alle stazioni della polizia si autorappresentano come terroristi: questo è dannoso per loro. È una battaglia non per la gente ma per la loro parte politica, ed ecco perché combattono da soli. Le loro cattive scelte li hanno messi all'angolo. 

L'esercito poteva evitare la strage nello sgombero di Rabaa?
Sono spiacente per le vittime, speravo che disperdessero il sit-in senza una goccia di sangue. Non so se l'uso della violenza è stato eccessivo, questo richiede una risposta tecnica. Quello che è chiaro per tutti è che si trattava di un sit-in armato. Se si confronta piazza Nahda e piazza Rabaa: il primo è stato sgomberato in poco tempo, senza morti, perché non c'erano uomini armati. A Rabaa hanno iniziato a sparare, e gran parte delle vittime sono innocenti, sono vittime della Fratellanza più che di uso eccessivo di violenza della polizia. Perché gli innocenti hanno permesso che ci fossero uomini armati tra di loro? Significa che i Fratelli musulmani hanno costretto alla violenza. Ora deve finire la violenza, anche della polizia. 

La Fratellanza ha futuro politico?
Se i Fratelli musulmani annunciano che fermeranno i loro attacchi e le loro alleanze nel Sinai, penso che l'Egitto potrà respirare, perché la sfida dei Fratelli non si può risolvere in modo militare ma politico. Questa nuova fase non può iniziare se continuano attacchi terroristici. Non credo che si possono sfidare pensieri politici con le armi o decisioni burocratiche, ma bisogna affrontarle con idee. Contro la Fratellanza è necessaria una sfida culturale e non militare. La competizione deve essere democratica. Certo non si ferma il terrorismo con la democrazia. Ma non si può fare neppure di tutta un'erba un fascio: i leader islamisti hanno preso decisioni tragiche e sbagliate, sfidato la volontà degli egiziani e usato armi contro lo stato. I manifestanti pacifici sono cittadini egiziani, hanno il diritto di essere parte di un processo politico. Ma se questo significa permettere di nuovo la formazione di partiti politici basati sulla religione, la mia risposta è un «no» categorico.


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