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Monicelli che sbeffeggiò i padroni della morte

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Messaggio Da Verci Mer Dic 02, 2015 6:58 am

Monicelli che sbeffeggiò i padroni della morte Monicelli-300x200

di Seila Bernacchi

E’ il 29 novembre 2010, ore 21:00 circa, quando un uomo di 94 anni ormai quasi cieco e ricoverato all’ospedale San Giovanni di Roma nel reparto di urologia per un tumore alla fase terminale, si avvicina alla finestra balconata della sua stanza al quinto piano, apre e si butta.

Lo troveranno 5 piani più sotto, sul selciato davanti all’ingresso del pronto soccorso. Quell’uomo è Mario Monicelli.
E’ uno dei padri – tra i più grandi – di quel filone cinematografico che ha preso il nome di commedia all’italiana, quel modo di scoperchiare alla vista del pubblico vizi e virtù che caratterizzarono il passaggio dell’immediato e successivo dopoguerra, il mutamento di costumi e valori che quel cinema riusciva a far capire facendo ridere.

Uno sguardo indulgente e amaro che non concedeva mai la meglio al pietismo o alla retorica patria, la faceva saltare anzi per rendere possibile lo sguardo schietto di chi narra la verità senza imbrogli e senza indulgenze ma anche senza moralismi di rito. E’ la commedia che cessa di essere soltanto farsa ma sa svolgere narrazioni ancorate a un vivere sociale in cui tutti possono riconoscersi, è la Roma degradata e malandrina – coeva e lontanissima dal boom economico dove luccicano progresso e modernità – della “Banda del buco” ne I soliti ignoti sono le peripezie di un ladruncolo e una guardia, ruoli opposti e caratteri solidali della Roma post bellica di Guardia e Ladri che valse a Totò il nastro d’argento.

E’ uno dei registi italiani più amati e conosciuti nel nostro Paese e nel mondo, quello che si è gettato dal quinto piano dell’Ospedale San Giovanni. E’ il regista che ci ha fatto conoscere la carica comica di Monica Vitti (La ragazza con la pistola) e la profondità tragica di Alberto Sordi (Un borghese piccolo piccolo), è il regista-cosceneggiatore dissacrante e amaro di Amici Miei Atto I e II (il primo da un’idea di Pietro Germi che morì prima della fine delle riprese) e quello tenace nella realizzazione di progetti innovativi e ostici (Speriamo che sia femmina). E’ l’ex-aequo Leone d’oro a Venezia con La Grande Guerra e poi tre orsi d’argento, quattro candidature alla palma d’oro a Cannes, tre nomination agli Oscar, molti premi internazionali.

Si getta dal quinto piano senza clamore, sapendo forse di generarne molto ma solo quando lui potrà vedersi risparmiata la tiritera del “perché l’ha fatto?” e la retorica feroce di chi pensa di spegnere l’autonomia degli individui negandone la lucidità. E’ un uomo lucido eccome Monicelli, sa bene quello che non vuole, ha deciso di togliersi la vita e di realizzare quanto per se stesso aveva profetizzato “non morirò in una stanza d’ospedale con i parenti che mi portano la minestrina”.

E’ tanto lucido che a 94 anni vive da solo perché sostiene che quando – pur con l’intenzione di amorevoli cure – inizi a togliere a un anziano l’autonomia e la responsabilità di cavarsela da solo gli decurti una decina d’anni di vita. Ha scelto il volo dal quinto piano con sguardo fermo, solida volontà e una pernacchia forse un po’ amara ma sferzante ai falsi buonisti – quelli sì – della vita a tutti i costi.

Chi lo conosceva l’ha capito, l’ha capito il compagno e collega Carlo Lizzani che poco meno di due anni più tardi sceglierà per sé la medesima fine (gettandosi dal terzo piano del cortile del palazzo dove viveva) e che, intervistato subito dopo la morte di Monicelli, ebbe a dire “ il gesto nasce anche dal fatto che era un super laico, uno che voleva gestire la sua vita fino in fondo, un gesto di lucidità giovane”.
Il funerale laico, si terrà il 1 dicembre 2010, con un passaggio del feretro nel Rione Monti dove il regista abitava e poi il saluto alla Casa del Cinema.

C’eravamo anche noi alla Casa del Cinema, assieme a migliaia di persone, colleghi, attori, moltissima gente comune, moltissimi giovani. Ci piace ricordare le parole che usò l’amico e grandissimo collega Ettore Scola, che prese la parola difronte al pubblico seduto e assiepato in piedi ai lati della sala.

Guardava noi e guardava la bara lì accanto, posta sotto lo schermo che qualche minuto prima trasmetteva le immagini ‘vive’ di Monicelli, e cominciò così:

Io faccio un po’ fatica a riconoscermi in tante cose che vengono dette in questi giorni perché non mi sembra di riconoscere sempre Mario in quello che leggo e in quello che sento. Anche perché ho visto delle facce appese, tristi, qualcuno è venuto con la faccia da condoglianze “eh hai visto…è morto…siamo tutti tristi..” No. Io non sono per nulla triste per morte di Mario perché, beh intanto che vuol dire “morto”? Non lo è affatto. E poi perché è uno che ha scelto addirittura come morire. E quanti di noi potranno farlo? e lo ha scelto in un modo che gli somigliasse, certo brusco e duro, ma schietto e spavaldo”.

Coglieva nel segno Ettore Scola, a cinque anni di distanza da quella morte, a dieci anni da quella diversa ma non meno fragorosa di Pier Giorgio Welby, in Italia non si può scegliere come morire.

Non si può scegliere di risparmiarsi le sofferenze della fine, il deperimento della nostra autonomia e dei contenuti che diamo alla dignità della nostra esistenza. Ancora oggi a un vuoto di norma si può solo scegliere o non scegliere di gettarsi nel vuoto. Il grande Paese civile tiene sotto scacco il diritto morale dei suoi cittadini di finire la propria esistenza coerentemente a come la si è vissuta. Si è crocifissi a una vita sacra e astratta non riconoscendo che per molti ve ne sia una bella solo se vivibile e molto concreta nel suo dipanarsi.
Da maestro della grande commedia all’italiana l’ultimo fotogramma di Mario Monicelli ci ha riportato la sintesi della nostra Italietta tra riso amaro e mediocrità.
Abbiamo speranza per credere che cambieranno le cose a proposito dei diritti che questo Paese riconosce ai suoi cittadini?
La speranza è una parola che sentiamo molto spesso ripetere, sentiamo infusioni di fiducia ogni qual volto un premier di nome Renzi si affaccia davanti a una telecamera o nello schermo da dove proietta i suoi twitter.

E sapete cosa diceva Mario Monicelli della speranza appena pochi mesi prima di scegliere la fine? Beh, disse così nell’intervista rilasciata alla trasmissione di Michele Santoro Rai Per una Notte nel marzo del 2010 “Mai avere speranza. La speranza è una trappola, una cosa infame inventata da chi comanda”.

Ci voleva quello che non c’era mai stato per cambiare le cose in Italia, diceva ancora in quell’intervista, ci voleva la rivoluzione. Così il giorno dopo il suicidio venne salutato dagli studenti in manifestazione contro la riforma dell’università del governo Berlusconi con uno striscione che diceva “Mario la facciamo questa rivoluzione”. Poi è andata come è andata, c’è stata una rottamazione senza rivoluzione e tante iniezioni di speranza.
A noi piace pensare a Monicelli che si arrampica al balcone del quinto piano e guarda i politici, legislatori muniti di poca voglia e molto furore ideologico quando si parla dei nostri diritti, li guarda con sberleffo severo e mentre inizia il volo suicida dice, parafrasando una celebre frase del Marchese del Grillo “perché per me scelgo io e voi non scegliete un c..zo!”.

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Messaggio Da freg53 Mer Dic 02, 2015 7:40 pm

bellissimo pezzo,chissà  cosa passava per la testa ad un uomo malato di 94 anni, quasi cieco.
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