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Lavoro: la beffa delle 30enni laureate: più preparate e meno pagate

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Messaggio Da Verci Dom Mar 09, 2014 6:44 am

A cinque anni dalla laurea le ragazze che hanno trovato un impiego hanno in media uno stipendio di 1.333 euro. Ai loro coetanei vanno invece 300 euro in più. Un divario, anche nella precarietà, più elevato anche rispetto alle più giovani. E la nascita di un figlio diventa sempre di più un elemento condizionante. Indagine Almalaurea sul profilo di 210mila laureate.


Alcune di loro le trovi nei posti di comando delle imprese, altre stanno sedute di fronte ai luminosi monitor dove si decidono le sorti dei capitali mondiali e qualcuna anche sta sullo scranno di ministro di governo. Eppure, la gran parte delle 30enni italiane sono altrove. Le trovi negli uffici e negli spazi di piccole e grandi imprese, impegnate al loro meglio e costrette a dover accettare condizioni di lavoro svantaggiate rispetto a quelle dei loro colleghi maschi. Dall'editoria alla grande distribuzione. Quasi ovunque, un divario persistente, sia in termini di paga mensile sia di precarietà, a un'età così cruciale per lo sviluppo del proprio destino e per la crescita di un nuovo nucleo familiare.

TABELLE: Lo stipendio delle 30enni laureate /  Le 30enni e i figli

A cinque anni dalla laurea, le ragazze che sono riuscite a trovare un impiego, ricevono dalle imprese, in busta paga, solo 1.333 euro. I loro colleghi riescono invece a portare a casa una cifra che le supera del 22 per cento (1.626 euro). Quel che accade alle 30enni italiane ha l'aspetto di una beffa ancor maggiore, perché a un anno dalla laurea, la scarto che separa i due generi è di gran lunga inferiore e pari al 14 per cento (1.098 euro per le donne e 1.254 per gli uomini). Con il passare del tempo, di fatto, invece di smussarsi, le ineguaglianze e le disparità si inaspriscono e si acuiscono. Con il passare del tempo, alle ragazze, troppo spesso, non viene data la possibilità di accrescere il proprio valore e impiegare al meglio le risorse di cui sono in possesso.

Il dato italiano è quello elaborato dall'ultima indagine di AlmaLaurea che ha studiato il profilo di quasi 210 mila laureate. Il consorzio interuniversitario ha "fotografato" le immagini delle ragazze nei successivi passi della loro crescita e maturazione: a un anno dal conseguimento del titolo di studio, a tre anni e a cinque anni. I dati, come visto, non sono confortevoli. Il professore Andrea Cammelli, direttore, fondatore del consorzio e da sempre attento studioso dei fenomeni legati ai giovani in rapporto all'istruzione e all'occupazione, ha voluto precisare come questi dati siano il "segnale di un forte arretramento culturale e civile del Paese rispetto all'obiettivo di realizzare una partecipazione paritaria delle donne al mercato del lavoro" e ha sottolineato come di fatto "tale arretramento contribuisca a svalutare gli investimenti nell'istruzione universitaria femminile".

E' vero che i differenziali retributivi possono essere influenzati da molti fattori. Dal tipo di studi intrapresi, dall'età media alla laurea, dal voto di laurea, dalla formazione post-laurea, così come dalla tipologia dell'attività lavorativa, dall'area di lavoro e dal diverso peso del tempo pieno e del part-time tra i due diversi generi. Gli esperti di AlmaLaurea però, in una ricerca ad hoc, hanno anche neutralizzato tali effetti e hanno mostrato come a parità di condizioni, i trentenni continuino a guadagnare in media 172 euro mensili in più delle loro coetanee.

In questo scenario si innesta poi l'elemento della precarietà che aggredisce il segmento femminile in misura maggiore di quanto non faccia con quello maschile. A un anno dalla laurea riescono a trovare un posto stabile solo il 31 per cento delle ragazze, mentre i ragazzi arrivano al 39 per cento. Con l'andare del tempo, se è vero che pare attenuarsi la precarietà dei ragazzi, che arrivano a un contratto stabile nel 79 per cento dei casi, lo stesso non accade in ugual misura alle ragazze. Nel loro caso, a cinque anni dalla laurea, solo due terzi riescono a conquistarsi il tanto ambito rapporto di lavoro stabile. 

Queste le ineguali condizioni di chi è riuscita a trovare un impiego, più o meno stabile, più o meno remunerato. Ma a queste vanno aggiunte, le molte che purtroppo non ci riescono neppure. Trovare lavoro è difficile per tutti, è una battaglia dove nessuno dei due generi risulta davvero vincente, entrambi  strozzati in un mercato asfittico e sempre più striminzito. Eppure le donne fanno ancor più difficoltà, anche lì dove è già difficile per tutti. Già a un anno dalla laurea le differenze sono significative: trovano un impiego 52 donne su 100, mentre tra gli uomini ce ne riescono 59 su cento. C'è anche un altro dato che svela come le ragazze subiscano in misura maggiore la beffa: sono loro infatti quelle che in maggiore percentuale si dichiarano alla ricerca di un impiego (35 per cento rispetto al 27 degli uomini). 

C'è poi la delicata questione della maternità. Se una giovane donna ha il coraggio, l'ardire, lo slancio, la naturalezza di divenire madre, allora la disparità occupazionale cresce quasi a dismisura. Le trentenni, a cinque anni dalla laurea, che hanno almeno un figlio hanno un tasso di occupazione pari al 63,5 per cento mentre i loro coetanei con figli sono occupati per l'89 per cento. 

Avere un figlio, in termini occupazionali, di fatto risulta essere un condizionamento che forse non ha pari in Europa. Lo si capisce ancora di più se si mettono a confronto i destini occupazionali delle trentenni che hanno avutoalmeno un figlio, con quello delle giovani che i figli, volenti o nolenti, non li hanno fatti. Ebbene, il 76 per cento delle laureate senza figli lavora a cinque anni dalla laurea, mentre succede lo stesso solo al 63 per cento di quelle con almeno un figlio. Questi numeri chiamano in causa i decisori e non si può non dare ragione a Cammelli quando dice che sono "forti sono le responsabilità in termini di politiche a sostegno della famiglia e della madre-lavoratrice".


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